“No, non sono sfuggito al contagio fotografico e vi confesso che questa della camera nera è una mia segreta mania” dichiarava Giovanni Verga, uno dei massimi rappresentanti del verismo che con le sue fotografie in bianco e nero ha ripreso con il suo obiettivo tre o quattrocento immagini della sua città, di amici, di contadini, delle donne di casa, di bimbi, ragazze, servitù e padroni.
Le foto di Giovanni Verga affollano i suoi libri e parte del merito di questa passione è del suo maestro di fotografia, Luigi Capuana, il riconosciuto caposcuola del Verismo che immortalava le strade di Catania e della sua Mineo e non riusciva a smettere di stare dietro alla macchina fotografica, pur sapendo che gli prendeva molto tempo.
A Verga, invece, interessava cogliere l’attimo, immortalare pezzi di vita in movimento pur con gli imprevisti delle riprese, gli errori, incarnando l’ideale realistico di un Louis Lumière. La tecnica di Verga è, infatti, imperfetta e nonostante la qualità inferiore delle sue fotografie rispetto a quelle di Capuana e De Roberto, lo sguardo di Verga è molto più espressivo.
Negli anni, oltre alle fotografie, sono stati trovati strumenti e attrezzi da laboratorio a conferma del fatto che tra lo scrittore siciliano, maestro del verismo, e la fotografia, ad un certo punto, era iniziato un rapporto molto produttivo e di come la fotografia svolgeva il ruolo di documento del vero e del reale. O almeno di “testimonianza” importante anche sul mondo dei più poveri e dei più miseri.