Trip therapy: la terapia del viaggio per ritrovare se stessi

Tra vent’anni sarete più delusi per le cose che non avete fatto che per quelle che avete fatto. Quindi mollate le cime. Allontanatevi dal porto sicuro. Prendete con le vostre vele i venti. Esplorate. Sognate. Scoprite. Mark Twain

C’è chi la chiama trip therapy, chi l’ha ribattezzata travel therapy e chi la conosce semplicemente come “terapia del viaggio” fatto sta che non abbiamo più bisogno di qualcuno che ce lo ricordi viaggiare ha un effetto terapeutico. D’altronde se consideriamo che visitare nuovi paesi è da sempre una delle attività più amate da tutti, non ci dovrebbe meravigliare poi tanto che il viaggio sia diventato una vera e propria ricetta per la felicità.

Gli effetti terapeutici del viaggio

Negli ultimi anni, questa tendenza si è concentrata soprattutto sul concetto di viaggio come cura, ovvero sul potere del viaggio di curare o quantomeno alleviare lo stress e permetterci di fronteggiare le delusioni della vita, i malesseri e anche la malattia, come nel caso della treno-terapia, in modo più combattivo.

Forse, però, sarete sorpresi di scoprire che il viaggio, utilizzato come terapia alternativa per i  malati di Alzheimer, può aiutare a curare la mente, oltre che l’anima. Ad oggi, infatti, non esiste un trattamento farmacologico per curare i malati di Alzheimer che, in Italia, secondo la ricerca di Censis, sono 600.000 (46 milioni nel mondo).

Per affrontare questa malattia neurodegenerativa vengono, quindi messe in campo, delle terapie alternative, che se non guariscono il malato, possono essere decisive per rallentare quantomeno il declino cognitivo e funzionale e una delle ultime tecniche, considerate particolarmente efficaci, è quella della treno-terapia.

In cosa consiste la treno-terapia? Iniziamo con una premessa. Non si tratta di un vero e proprio viaggio in treno, piuttosto di un viaggio virtuale, all’interno di un vagone in stile retrò, che simula, appunto, un viaggio di 45 minuti durante il quale i pazienti, seduti tranquillamente su comode poltroncine, osservano un paesaggio riprodotto su uno schermo che dona pace e serenità e permette loro di calmarsi e di raccontare episodi della propria vita, placando il senso di ansia e di agitazione, tipico della malattia.

Nonostante la dimensione virtuale della terapia, tutto è studiato per fare in modo che sembri reale e che risulti “autentico” agli occhi dei malati di Alzheimer. Affinché questo avvenga si fa ricorso ad una procedura ben precisa, gestita da un operatore professionale e specializzato dalle prime fasi alla sua conclusione.

Sarà lui ad invitare i pazienti a fare un giro, incoraggiandoli a prendere il treno, magari in compagnia dei loro parenti. La scelta della meta del viaggio, invece, è del “viaggiatore”. L’operatore propone solo delle alternative ma la lascia appositamente in sospeso, così da stimolare il paziente e le sue aspettative.

Oltre all’approccio spontaneo e alla scelta della destinazione, per fare in modo che tutto risulti credibile, sono inseriti nel viaggio dei passaggi realistici quali l’acquisto del titolo di viaggio in biglietteria, la possibilità di poter sistemare il proprio bagaglio, la presenza di altoparlanti nei quali viene trasmesso il messaggio del capostazione. Il viaggio virtuale rientra in un protocollo predefinito, comunque, niente è lasciato al caso e, soprattutto, non è una terapia impiegata in sostituzione alla soluzione farmacologica.

La terapia del treno è un’idea tutta italiana, pensata nel 2009 dallo psico-pedagogista italiano Ivo Cilesi, specializzato in Musico-terapia, che ha analizzato come il viaggio in treno sia in grado di agire in modo positivo sui disturbi comportamentali di cui soffrono i malati di Alzheimer, che, come racconta Cilesi in un’intervista a Repubblica, “hanno perso la memoria cognitiva, semantica, procedurale, ma quella affettiva, l’amore, rimane” ed intraprendere la treno-terapia, attraverso la stimolazione cognitiva ed emozionale, consente di ritrovarlo questo amore.

Il viaggio è un processo che vi permette di “ritrovarvi” perché vi lascia senza qualcosa dietro a cui nascondervi, vi tira fuori dal regno delle reazioni automatiche e dalle ottuse comodità costringendovi a vivere il presente. Qui, nell’attimo fuggente, non vi resta che confrontarvi con il vostro io più nudo e più vero. Rolf Potts, Vagabonding

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Viaggiare per ritrovare la felicità

Ma io non credo che si debba arrivare al punto di star male per viaggiare perché, anzi, forse, in qualche caso si potrebbe ottenere l’effetto contrario di fuggire dai problemi ed isolarsi dal mondo senza riuscire in alcun modo a risolvere i problemi che abbiamo.

Il viaggio per agire come terapia deve prima di tutto essere percepito come una meravigliosa avventura da cui possiamo imparare a conoscere meglio la realtà che abbiamo attorno ma anche noi stessi, mettendoci finalmente in gioco come non abbiamo mai fatto prima, misurando i nostri limiti ma prendendo anche consapevolezza delle nostre capacità. Perché paradossalmente la wanderlust, la malattia del viaggio ha un effetto terapeutico. Per tutti.

Anche quando non pensiamo di averne bisogno come terapia, il viaggio agisce a nostra insaputa sulla nostra mente, regalandoci una terapia psicologica in grado di ricondurci verso la parte più vera di noi e di guarire delle ferite che da troppo tempo ci portiamo dietro. Ferite che sono come dei bagagli pesanti che ci carichiamo sulle spalle e che ostacolano la fluidità dei nostri movimenti, dei nostri pensieri. Vi sarà certamente capitato di provare un senso di leggerezza dopo aver lasciato un luogo per raggiungerne un altro.

Eppure a questa sensazione non diamo molto peso. Crediamo sia “normale” sentirsi emozionati di vivere una nuova esperienza di viaggio ma non è solo di emozione che si tratta. L’anima sa che sta per alleggerirsi dei problemi e delle preoccupazioni anche se solo temporaneamente ed è entusiasta di fare nuove scoperte, arricchirsi di nuove conoscenze e, perché no, stringere nuove amicizie. Basta guardarsi dentro con un po’ di attenzione per capire che la terapia del viaggio ha un effetto quasi immediato su ognuno di noi.

Il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l’avventura. La gioia di vivere deriva dall’incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell’avere un orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso. Dal film Into the wild

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Il viaggio come possibilità di cambiamento

Ovviamente bisogna “restare in ascolto”, saper accogliere le diversità e soprattutto le potenzialità del cambiamento che il viaggio può può portare nelle nostre vite. Perché il vero sinonimo di “viaggio” per me è proprio “cambiamento. Non esiste strumento di cambiamento migliore di un biglietto aereo per qualche destinazione semisconosciuta, magari prenotato con un po’ di sana follia in un attimo in cui nient’altro ci sembra capace di aiutarci a voltare pagina. Questo, per quanto folle, segna, infatti, l’inizio della propria rinascita.

Ci mette faccia a faccia con le nostre paure e ci costringe a superarle il più velocemente possibile. Ma attenzione ti salvi solo se vuoi essere salvato. La terapia del viaggio non funziona come una medicina che, agisce a prescindere dal fatto che tu voglia davvero guarire o meno, causandoti tutta una serie di effetti collaterali indesiderati. Il potere terapeutico del viaggio  agisce solo se sei tu a volerlo ma come le medicine ha anch’esso qualche effetto collaterale indesiderato, soprattutto se “somministrato” con delle modalità sbagliate.

Ormai è evidente che viaggiare non solo può offrirci la possibilità di conoscere meravigliosi mondi nuovi, anche lontanissimi da noi e di raccogliere ricordi stupendi per la nostra vita, ma ha anche un potere terapeutico. In questo post, vi ho già parlato della trip therapy, la terapia del viaggio e di come possa diventare una ricetta per trovare o ritrovare la felicità interiore.

 Voi cosa ne pensate della trip therapy: la terapia del viaggio funziona davvero?

2 commenti su “Trip therapy: la terapia del viaggio per ritrovare se stessi”

  1. Non l’avevo ancora letto; non trovo più gli aggettivi idonei, anche ricorrendo ai sinonimi mi sembrerebbe inadeguato ogni appellativo. L’argomento è semplice, ma il tuo modo di presentarlo lo trasforma in romanzo “d’amore e di avventura”. Partire o staccare la cosiddetta spina ha un enorme effetto terapeutico; lo facevo ogni anno ed ora non capisco perché mi sia fermata. Forse manca la compagnia giusta! Tuttavia auguro a voi giovani di rallentare il più tardi possibile. Complimenti.

  2. Bell’articolo!
    La terapia del viaggiare ha avuto anche su di me un effetto positivo da sempre, sin dal primissimo viaggio fatto con i miei genitori!
    Qualsiasi sia la distanza percorsa per raggiungere un altro luogo diverso dal luogo di residenza, è sempre una buona opportunità di crescita per superare i nostri limiti e non solo quelli geografici! Al rientro dai miei viaggi, ritorno a casa trasformato…….impossibile restare immutati dopo aver conosciuto luoghi, persone, culture, tradizioni, odori, colori, suoni e sapori nuovi!
    Viaggiare, trasforma la nostra condizione di esistere…….per vivere meglio il nostro vivere quotidiano!
    Grazie!

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