Cosa vedere sull’isola di Mombasa in un giorno

Visitare Mombasa non faceva parte dei piani ma per chi viaggia i piani sono un qualcosa che all’occorrenza deve essere sconvolto per cui eccoci arrivati dopo quasi 3 ore dalla tranquilla Watamu nella rumorosa e affollatissima Mombasa. E alle cose da sapere sul Kenya prima di partire ne aggiungo una su questa città africana: sapevate che sorge su un’isola o meglio che è essa stessa un’isola? A collegare Mombasa al resto del Kenya infatti sono due strade sopraelevate, la Makupa Causeway e la Kipevu Causeway, un ponte ad est, il Nyali Bridge e un servizio di traghetti Likoni Ferry a sud.

Mombasa ha perciò come tante isole un rapporto privilegiato con il mare e la sua importanza di città portuale è confermata dal passaggio storico di celebri pionieri dell’esplorazione marittima come Al Idrissi, Ibn Battûta, Zheng Ehi e Vasco di Gama. Avvicinandoci al centro, non posso fare a meno di notare l’incredibile numero di tuk-tuk che affollano le strade. Non sono una novità per me che ho provato l’ebbrezza di un giro spericolato in tuk tuk a Bangkok) ma in due settimane di Kenya era la prima volta che ne vedevo così tanti tutti insieme.

Vi lascio immaginare il caos, il traffico e il rumore assordante dei clacson e in più, la pioggia. Questo generava ancora più trambusto tra le strade della città africana, la seconda più grande del Kenya ed eravamo ormai quasi sicuri che avremmo trascorso il resto della giornata in hotel in attesa del nostro volo per Nairobi dell’indomani. Ma come per magia quando le cose sembrano per essere decise ecco che tutto cambia. Torna il sole e allora dopo aver fatto il check in e lasciato le valige, ci rifiondiamo nel tran tran cittadino.

Memorial Cathedral: la Chiesa che assomiglia ad una Moschea

Prima di raggiungere l’Old Town, la Città Vecchia che sicuramente è l’angolo più affascinante di Mombasa ci fermiamo per uno stop veloce alla Memorial Cathedral, importante chiesa Anglicana che risale ai tempi del colonialismo britannico. La prima cosa che viene da notare osservandola dall’esterno è la somiglianza nelle forme e nei colori con una Moschea e in particolare con le Moschee della città. Ma come è possibile che una chiesa anglicana assomigli ad una Moschea?

L’aspetto arabeggiante in realtà non è affatto casuale ma fu appositamente progettato così dai britannici perché potesse integrarsi bene con l’architettura locale preesistente. E due degli elementi principali della Memorial Cathedral che restituiscono questa somiglianza sono l’arco e la cupola d’argento, che insieme alla colonna vanno a costituire la sacra triade dell’architettura islamica. In particolare, la cupola ha un alto valore simbolico perché rappresenta l’aspirazione del fedele al Tawḥīd, principio di unità e unicità di Allāh.

Entriamo. All’interno la Chiesa sembra assomigliare molto di più ad una di quelle che siamo abituati a vedere se non fosse per la presenza invadente di schermi TV distribuiti in tutta la sala, quello più grande in prossimità dell’altare. Stonano decisamente con il tutto anche perché ce ne sono parecchi. Albert, il nostro autista ci spiega che in questo modo i fedeli, anche quelli seduti più lontano, possono vedere il prete in alta definizione. “Che bisogno c’è di vedere il prete in alta definizione” mi chiedo ma è una domanda che non credo troverà risposta.

Fort Jesus per conoscere la storia di Mombasa

Lasciamo la Memorial Cathedral e riprendiamo il viaggio attraverso Mombasa diretti verso l’Old Town, la Città Vecchia. Forse è stata una delle poche volte in cui non, a parte piccole cose, non sapevo davvero cosa aspettarmi. Questo ha reso la scoperta e la visita ancora più emozionante di quanto sarebbe stata se avessi fatto ricerche o cercato foto e racconti di altri viaggiatori sul web. La prima tappa dell’Old Town non può che essere Fort Jesus e per raccontarci qualcosa di questo posto viene in soccorso una delle guide locali, appostata all’ingresso.

Preciso che entrare al Fort Jesus di Mombasa non è come entrare in un qualsiasi fortino, attrazione, museo di casa nostra. Intanto, il biglietto di ingresso è super sproporzionato in tutti i sensi perché costa 1200 KES (per i turisti, chiaro) ben rispetto ai 200 KES che pagano i residenti. Già questa cosa mi dà sui nervi perché non capisco su quale base un turista dovrebbe essere tassato in maniera diversa e per di più così eccessiva rispetto a quello che si pagherebbe normalmente. L’equivalenza turista = ricco sfondato è una delle cose che ho odiato dell’Africa.

Se riuscite a farvi accompagnare da qualcuno del posto è meglio e potrete giocare la carta “visitatori” e pagare un terzo di quanto chiesto. Fate ben attenzione alle guide perché, nonostante il cartellino, è probabile che molte di loro siano abusive e pur vendendosi come volontari alla fine della giostra pretenderanno qualcosa da voi per cui è meglio chiarire fin dall’inizio ed evitare spiacevoli equivoci e discussioni. Noi siamo arrivati al Forte verso l’orario di chiusura per cui spendere anche fossero stati 100 KES non valeva la pena.

La nostra guida (che ha detto di chiamarsi Lollipop… non chiedetemi il perché) ci ha allora suggerito di fare un piccolo giro costeggiando il Forte per farci ascoltare un po’ della sua storia. Accettiamo e Lollipop ci racconta che Fort Jesus, fortificazione militare costruita dai portoghesi sul finire del 1500 per proteggere il porto di Mombasa, racconta non solo la storia della città ma anche dei popoli africani, arabi, turchi, persiani e europei che di qui sono passati ed nel 2011 ha fatto il suo ingresso nell’elenco dei siti Patrimonio UNESCO.

Dentro i vicoli della Città Vecchia di Mombasa

La Città Vecchia è davanti a noi, con le sue stranezze e brutture, con la sua sporcizia, il suo mistero, la sua identità brutale e un volto autentico che vuole mostrarsi per quello che è, facendo a meno del nostro concetto di “riqualificazione”. Un vicolo dopo l’altro si susseguono volti velati, sguardi sospettosi e stanchi, la curiosità negli occhi dei bambini e in quelli di dolcissimi gatti rannicchiati sull’uscio di vecchie case rovinate dal tempo e dall’incuria con i loro portoni intagliati a mano e quei balconcini in legno che mi fanno tornare in mente Malta.

Giriamo la città vecchia di Mombasa in senso circolare e dopo un po’ ci ritroviamo al Forte. Stavolta, però,  notiamo qualcosa che prima ci era sfuggito: una caffettiera Swahili gigante e un pezzo di rotaia. Scopriremo dalla breve descrizione presente in una targa la caffettiera è stata regalata alla città da Burhan Ali Taher (di cui ignoro l’identità) nel 1988 e che quello che io pensavo fosse una rotaia è in realtà un pezzo di pista originale realizzata nel 1890 al tempo in cui sull’isola venivano utilizzati carrelli mobili per trasportare a mano bagagli, pacchi, borse e altri oggetti.

Mama Ngina Drive: quello che le guide non vi dicono

Qualche scatto veloce e si risale in macchina per uno stop a Mama Ngina Drive, luogo di ritrovo molto amato dai locali e famoso per  la bellissima vista mare, sempre piacevole grazie alla presenza di una fresca brezza proveniente dall’oceano. Se pure avessi provato a cercare questo posto non credo che sarei riuscito a trovarlo perché è proprio una di quelle cose che solo uno del posto può conoscere. Per un turista che visita Mombasa per la prima volta, fuori dall’itinerario conosciuto, non c’è molto altro da vedere.

Non ci siamo fermati molto. Abbiamo solo parcheggiato lungo la costa e ne ho approfittato per scattare qualche foto ricordo ma Mama Ngina Drive mi è rimasta impressa. La consapevolezza di trovarmi in un luogo sconosciuto al turismo di massa e molto frequentato dalla gente del posto che qui viene a chiacchierare, a rilassarsi magari dopo una lunga giornata di lavoro, per mangiare e bere qualcosa, da soli o in compagnia, lo ha reso ai miei occhi unico e speciale.

Sotto le Pembe Za Ndovu, le corna giganti di Moi Avenue 

Prima di tornare in hotel e riposare qualche ora visto che ci aspettano 24 ore di viaggio, non un minuto in meno c’è un ultimo posto che dobbiamo vedere. Si tratta dell’enorme scultura Pembe Za Ndovu commissionata in ricordo di una visita della Principessa Margaret, la sorella minore della regina Elisabetta II nel 1956  che riproduce due paia di corna di elefante giganti in alluminio, fissate ai lati delle due carreggiate di Moi Avenue lungo la quale sfrecciano a tutte le ore auto, moto, biciclette, tuk tuk e matatu.

Albert mi fa: “Dai, attraversa… mettiti là al centro delle due strade. Facciamo una bella foto!”. Ho guardato lui, poi la strada, poi di nuovo lui e di nuovo la strada e sono tornata verso l’auto. “Che fai, non la vuoi una foto per il tuo blog?”. “La vorrei ma non posso rischiare la vita per una foto. Hai visto come corrono?”  gli rispondo indicando il traffico di Moi Ave. Vorrei anche  spiegargli che “le corna” hanno un’accezione negativa da noi in Italia e una foto non è poi cosi necessaria a pensarci bene. Qui termina il tour di Mombasa e torniamo in hotel. Felici. In poco tempo abbiamo visto più di quanto avrei immaginato!

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