errori comunicazione interculturale da evitare

Comunicazione interculturale: problemi, errori e differenze

La scrittrice francese Alexandra David-Néel affermava “chi viaggia senza incontrare l’altro, non viaggia, si sposta” e non potrei essere più d’accordo. Ma incontrare l’altro significa anche comunicare con l’altro, cosa non sempre facilissima quando la comunicazione deve avvenire tra culture e tradizioni differenti per cui è facile incorrere in errori ed incomprensioni, anche gravi. Quelli che trovate qui sono 10 ambiti di comunicazione interculturale in cui possono verificarsi più frequentemente problemi, errori e differenze tra culture diverse. Di certo non un elenco esaustivo ma un buon punto di partenza per ulteriori riflessioni.

1. Espressioni del viso

Esprimere emozioni è una cosa ovvia nella nostra cultura. Ad esempio, sorridere a qualcuno mentre parla è per noi italiani ed europei abbastanza normale. Non siamo divertiti e magari neanche particolarmente interessati a quello che dice il nostro interlocutore però sorridiamo perché siamo culturalmente abituati a farlo e ci si aspetta da noi questo comportamento in segno di comprensione. In Europa settentrionale, invece, le esternazioni sono abbastanza controllate, mentre addirittura in Oriente poco gradite, e si preferisce educare i bambini fin da piccoli ad una certa imperscrutabilità, cioè ad una riservatezza riguardo i propri sentimenti

2. Occhi e sguardo

In Occidente quando qualcuno ti guarda negli occhi mentre si parla di solito questo comportamento viene interpretato in maniera positiva come un segno di franchezza, di lealtà. “Chi ti guarda negli occhi è sincero” è una delle massime più comuni del nostro background culturale. Non è così in tutto il mondo però. Ad esempio, in alcuni paesi dell’Africa e dell’Asia, il fissare una persona dritto negli occhi può essere interpretato come una sfida o un segnale erotico. In Giappone solitamente gli occhi puntano a terra, a lato della persona che si sta salutando e appaiono quasi chiusi al fine di comunicare una forma di rispetto, nonché l’attenzione massima.

3. Concetto di tempo

Il concetto di tempo nelle diverse culture cambia profondamente ed essendo percepito a volte in modi quasi opposti la sua interpretazione può creare molti problemi. L’importanza della puntualità, ad esempio, varia profondamente da paese a paese e se in quelli industrializzati essere puntuali è un requisito fondamentale, nelle culture orientali spesso è solo un’indicazione di massima. Questo perché il tempo per gli orientali è circolare, ovvero scandito dalla natura non dall’uomo ed e paragonato ad un elastico, normalmente in posizione di riposo e teso solo nel momento in cui c’è una ragione. La stessa affermazione “il tempo è denaro” in ambito di applicazione può creare forti problemi comunicativi poiché in molte culture eliminare formalità e convenevoli è considerato maleducato ed incivile.

4. Braccia e mani

Soprattutto nella nostra cultura e nelle culture euro-americane in generale, stringere la mano in modo vigoroso è segnale di sincerità ma in altre, invece, l’eccesso di forza è considerata fonte di fastidio e in Oriente, ad esempio, la stretta di mano è un gesto decisamente inusuale. Anche il modo in cui comunichiamo con le mani può assumere significati differenti però. Ad esempio, il segno di vittoria di W. Churchill (la “v” con indice e medio) significa “vittoria” se il palmo è rivolto verso l’interlocutore ma diventa un insulto (una sorta di vaffa) se il dorso della mano è rivolto all’interlocutore e così pure il gesto tipicamente americano per dire “OK” nei paesi slavi significa “Ti faccio un … grande così”.

5. Gambe e piedi

La posizione di gambe e piedi è una forma di comunicazione non meno importante di quella di braccia e mani. Ad esempio in alcune culture, come quella araba, incrociare le gambe, cioè appoggiare la caviglia al ginocchio viene ritenuto un comportamento maleducato, irrispettoso e sprezzante. Mostrare la mostra la suola della scarpa equivale a dire: “vattene via”. Ma mostrare i piedi può essere addirittura considerato sacrilego. Una delle regole dei templi buddisti è infatti quella di non puntare i piedi in direzione di Buddha o di altre persone, poiché considerati, diversamente dalla testa, la parte meno nobile del corpo.

6. Distanza tra corpi

La distanza, detta anche “bolla” tra due persone che parlano senza essere in intimità corrisponde a circa 60 cm. Ma questa bolla può variare molto in base alla cultura di riferimento. Ad esempio nel Mediterraneo arabo spesso che parla tocca l’interlocutore sul petto o sul braccio mentre invece gli europei non mediterranei e gli americani richiedono che ciascuna “bolla” sia rispettata, per cui i due interlocutori restano a distanza di un doppio braccio. Ma se nei paesi arabi e nelle zone rurali dell’Oriente c’è chi cammina a braccetto o si prende per mano con persone dello stesso sesso, in Giappone anche camminare molto vicini ad una persona del sesso opposto può assumere una connotazione strettamente sessuale.

7. Gerarchia

Il concetto di gerarchia è presente in tutte le culture, anche in quella italiana dove ad esempio non è consentito che chi svolge un lavoro di livello “inferiore” avanzi proposte o obiezioni alla direzione senza passare per il suo superiore. In America invece questo è all’ordine del giorno e chiunque può presentare idee o un progetto anche ai cosiddetti piani alti. In molte culture dell’Africa e dell’Asia invece la gerarchia è molto sentita e rispettata nonché esibita, con domande un po’ inquisitorie fatte subito al primo incontro: “che professione fai?”, “dove vivi?”, “quanti anni hai?, “sei sposato?”, “hai figli?” che a noi risulterebbero facilmente impertinenti e fuori luogo.

8. Abbigliamento

Diversamente da quanto sostenuto dal famoso proverbio l’abito non fa il monaco, l’abbigliamento conta molto in tutte le culture e ogni cultura ha la sua idea di abbigliamento adeguato e formale. Ad esempio, in Italia è considerata “formale” la combinazione camicia, cravatta, giacca; negli USA è sufficiente la cravatta, anche con una camicia a maniche corte senza particolari limitazioni sulla scelta dei colori, in Europa e in Oriente invece un impiegato o un funzionario non vengono accettati in ufficio se non hanno un abito grigio, blu o nero.

9. Status symbol

Gli elementi identificativi del proprio stato o posizione sociale sono diffusi in tutti i paesi del mondo e cambiano da cultura a cultura, da classe a classe. Alcuni come il Rolex al polso, anelli vistosi o catene d’oro indicano comunemente la ricchezza ma consideriamo pacchiano chi li ostenta e addirittura un “buzzurro” l’uomo che li indossa. Eppure, nonostante la nostra percezione negativa, nella cultura araba o slava tale esibizione anche da parte degli uomini è approvata senza pregiudizi.

10. Uso della voce

Non solo l’abito ma anche il tono della voce “fa il monaco” in un certo senso. Ad esempio è molto probabile che un inglese vedendo due italiani parlare tra loro possa avere l’impressione che stiano litigando. Il motivo è semplicemente che i due italiani usano un tono di voce e un reciproco interrompersi che in Inghilterra sono presenti solo nei litigi. Per non parlare della gestualità per cui siamo famosi in tutto il mondo che unita a questi elementi e all’invasione della “bolla” dell’interlocutore, conferma l’idea di “aggressività” del nordeuropeo medio. Quanto all’abitudine di sovrapporre le voci, poi, se è generalmente accettata dalle culture mediterranee, per tutte le altre non è accolta in modo molto positivo poiché considerata una scortese interruzione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.