Racconto fotografico: esempi nella letteratura da Vittorini a Pezzani

Agli inizi del 2013 ho avviato un progetto web chiamato “Fotoscrittura” sul concetto di racconto fotografico. L’idea era quella di creare una raccolta di contenuti e di esperienze che raccontassero la fusione tra fotografia e scrittura. Scrivere e fotografare, infatti, sono due attività profondamente legate l’una all’altra. Spesso, nel corso del tempo, si è pensato che la scrittura avesse una certa superiorità rispetto alla fotografia ma così non è. Lo dimostrano scrittori e fotografi che, in tanti, si sono impegnati nell’arte di scrivere e fotografare riscuotendo ottimi successi. Fotografare, in fondo, è solo un modo diverso di esprimere pensieri e sensazioni.

Invece di usare la penna, il fotografo ricorre alle immagini. E non è neanche detto che usi soltanto quelle. Anzi, nella storia di fotografia e scrittura sono molti gli esempi di artisti impegnati in entrambe le attività. La combinazione di fotografia e scrittura da vita a quella che io chiamo FotoScrittura, una sorta di nuova disciplina che tenta di fondere in modo originale e armonioso l’arte di scrivere e fotografare realizzando un prodotto completo e finito come lo sarebbero un romanzo o un servizio fotografico.

Da appassionata di fotografia e scrittura, ho deciso di investire un po’ del mio tempo per diffondere creazioni visive e testuali e condividerle con un pubblico più ampio. Amo fermare un’emozione, una luce, un colore, un attimo in uno scatto e bloccarlo nel tempo. Amo raccontare il modo in cui il mondo ha impatto su di me, facendolo uscire dalle mie idee, dalle mie mani, scrivendone. Allo stesso tempo quando scrivo un nuovo racconto di viaggio lavoro con le parole e le immagini e cerco di dar loro una forma perché scrivere e fotografare rappresentano due potenti strumenti d’arte, entrambi in grado di regalare all’eternità memorie uniche attraverso le immagini in generale e le parole.

E’ vero che, a volte, immagini e parole si completano da sole e  leggere senza avere delle immagini a disposizione stimola la fantasia e l’immaginazione ma cosa sarebbe il racconto di un viaggio o la descrizione di un luogo in cui si è stati senza una fotografia reale di quanto abbiamo vissuto? La scrittura e la fotografia, combinate insieme, riescono ad associare un volto ad un nome o dei colori ad un posto, ad esempio.

E quando lavorano in simbiosi e raggiungono l’integrazione possono facilitare il lettore ad immedesimarsi in quello che scriviamo e aiuta noi a fissare in modo definitivo un ricordo importante, triste o felice che sia, che non vogliamo lasciar andare. Su questo punto concorda Isabel Allende che, nel suo romanzo Ritratto in seppia del 2000, scriveva: “la fotografia e la scrittura costituiscono un tentativo di cogliere quegli istanti prima che svaniscano, di fissare i ricordi per dare un senso alla vita”.

Per saperne di più, ti suggerisco di iniziare dalla lettura di questi contenuti:

Storia del racconto fotografico: esempi nella letteratura

E’ chiaro che il concetto di FotoScrittura non lo abbiamo inventato noi. Forse abbiamo dato vita ad un nome per indicare l’insieme delle attività che coinvolgono fotografia e scrittura ma la letteratura in merito al fotoracconto era già abbastanza ampia e qui cercheremo di raccontarvela.

In Italia il primo a tentare l’esperimento è stato Elio Vittorini con la sua antologia “Americana del 1941 che mescolava foto, racconti e immagini di film reperiti da «Life» e «Look», riviste statunitensi o dalle opere di importanti autori tra cui Alfred Stieglitz, Lewis Hine e, in particolare, Walter Evans.

Successivamente, questa commistione di immagini e testi, è stata riproposta, dallo stesso Vittorini, nella rivista «Il Politecnico», di cui era direttore, tra il 1945 e il 1947. Lo scrittore, agli esordi di questa avventura giornalistica, aveva anche pubblicato sulla rivista cinematografica «Cinema Nuovo» un lungo articolo dal titolo La foto strizza l’occhio alla pagina per spiegare meglio il rapporto tra immagine e testo scritto.

Io penso […] – dichiara – che qualunque libro, di narrativa o di poesia, come di storia o di critica oaddirittura di teoria, potrebbe venire illustrato con foto e sarebbe anzi desiderabile che venisseillustrato (con foto, o con disegni e foto insieme) per arricchirsi subito di efficacia divulgativa purconservando intatto il proprio rigore poetico e teorico. Questo a condizione, però, che la fotografiasia introdotta nel libro con criterio cinematografico e non già fotografico, non già vignettistico, eche dunque si arrivi ad avere accanto al testo una specie di film immobile che riproponga, secondoun suo filo di film, almeno uno degli elementi del testo, allo stesso modo in cui accade che ilcinema riproponga (in sede documentaria e in sede narrativa) certi elementi d’un certo libro.

Americana di Elio Vittorini è un’antologia che raccoglie i testi di 33 narratori americani, risalenti ai primi anni dell’Ottocento fino agli anni trenta. Il progetto e l’organizzazione del lavoro è avvenuta negli anni a cavallo tra il 1939 e il 1941, suo anno di pubblicazione. Il risultato è considerato un foto-documentario, forse, il primo della storia italiana.

Americana di Elio Vittorini, infatti, unisce scrittura e immagini. Gli autori sono inseriti in ordine cronologica dalle origini e dai classici, passando per la nascita della leggenda, la letteratura della borghesia, verso il verismo e la storia contemporanea fino alla nuova leggenda e sono introdotti da una breve scheda riguardante la loro attività letteraria.

Le traduzioni dei testi, oltre che a Vittorini, è stata svolta da autori quali Moravia, Pavese e Montale, Pavese. Con Americana, Vittorini voleva presentare e far conoscere in Italia la nuova letteratura americana, dopo che il fascismo aveva impedito la conoscenza di altre culture straniere e, in particolare, quella statunitense.

Sia Vittorini che tutti gli altri autori che contribuirono a questa antologia erano dell’idea che la letteratura americana portasse la consapevolezza di un nuovo mondo, fatto di nuove voci nuove e che esprimesse una nuova energia vitale, con forti segnali di libertà.

Gli Stati Uniti e la letteratura americana, in Americana di Elio Vittorini, venivano presi come esempio da seguire per le aperture a nuovi modelli culturali e all’integrazione razziale che esprimeva un clima di libertà che contrastava con i modelli comportamentali dell’Italia fascista.

L’antologia era corredata da fotografie scelte dallo stesso Vittorini, immagini utilizzate per rappresentare il mondo americano, vivace ed eterogeneo. La prima edizione del 1940 subì la censura dai fascisti e affinché l’opera vedesse la pubblicazione l’editore Bompiani e lo stesso Vittorini furono costretti ad ospitare la presentazione di Emilio Cecchi, ben visto dal regime, essendo la sua considerazione verso la letteratura americana piuttosto limitata e negativa.

In Americana di Elio Vittorini, attraverso gli autori ritroviamo diversi aspetti interessanti come il tema del viaggio, dell’energia vitale e dell’infanzia, argomenti molto cari a Vittorini e sebbene le sue traduzioni, spesso, si allontanasse dal testo originale, per la conoscenza approssimativa della lingua anglo-americana, l’autore siracusano era dell’idea che lo scrittore dovesse avere la libertà di tradurre in modo libero e creativo.

Il Politecnico di Vittorini è l’esempio di come il linguaggio figurativo della fotografia abbia influenzato l’arte ma soprattutto poeti e scrittori, suscitando qualche imbarazzo nel creare una scala di valori, tra le due abilità, ma ha dato risultati inaspettati sia alla letteratura che all’editoria.

Il Politecnico è stata una rivista di cultura e politica, fondata da Elio Vittorini, nel 1945. Come in Americana, i fotoracconti pubblicati sulla rivista Il Politecnico di Vittorini presentano articoli e inchieste corredate di immagini fotografiche di alta qualità.

Il Politecnico di Vittorini fu dapprima un settimanale, sottotitolato “Settimanale di cultura contemporanea”, per poi diventare mensile l’anno dopo con il sottotitolo “Rivista di cultura contemporanea“. Il fotografo Luigi Crocenzi diede un notevole contributo con i suoi primi foto-racconti, “Italia Senza Tempo” e “Occhio Su Milano”.

Definì i racconti con una serie di fotografie corredate da didascalie in successione ma si aspettava la possibilità che venissero letti e, quindi, interpretati in più modi. La fotografia degli anni ’40, infatti, con le sue forme espressive visive, stava diventando una forma d’arte al pari delle espressioni letterarie.

Il Politecnico di Vittorini si guadagnò, grazie al cinema neorealista, la conquista della realtà e smise di essere semplicemente l’inquadratura che raccontava ma il fatto narrato. Uno studio accurato sulle modalità del montaggio cinematografico, della fotografia realista americana di Walker Evans, condusse il fotografo marchigiano Luigi Crocenzi, importante personaggio della fotografia italiana del secondo dopoguerra, a una nuova riflessione sulla fotografia.

Non contava più la singola fotografia ma la realizzazione di un vero e proprio racconto per immagini fotografiche, un vero e proprio film immobile sulla carta stampata. La fotografia di Luigi Crocenzi nel Politecnico di Vittorini, al pari del cinema neorealista, intendeva evidenziare fotogramma per fotogramma il paese così com’era, un’inquadratura che confermava un racconto, un racconto che negli anni successivi si sviluppò e diventò fotoromanzo, basato, come per i film, su scene con attori in posa, riviste illustrate che hanno avuto un incredibile “boom”.

In questi anni e in quelli successivi, sulla linea del fotoracconto si inseriscono numerosi altri tentativi. Uno di questi è l’esperienza di Cesare Zavattini con «Un Paese» del 1955 che ormai sa di doversi confrontare con un pubblico di lettori a cui non basta leggere ma vuole vedere attraverso la fotografia.

Insieme al fotografo americano Paul Strand, Un Paese diventa uno dei primi veri esempi di fotoracconto che tentano una grande impresa: quella di raccontare, attraverso la combinazione di fotografie e racconti, la storia di Luzzara, piccolo paese della provincia emiliana. A distanza di una ventina di anni,  Un paese fa il suo ritorno con Un Paese vent’anni dopo, pubblicato da Einaudi nel 1976, le cui immagini sono stavolta a cura del fotografo Gianni Berengo Gardin,incaricato di immortalare nelle sue foto la nuova Luzzara.

Le sperimentazioni nel fotoracconto non si esauriscono qui. Dello stesso anno di “Un Paese” è “Borgo di Dio“ la prima raccolta foto-documentaria sulla comunità di Danilo Dolci a Partinico a cura di Enzo Sellerio, grande editore e fotografo palermitano. Aveva 80 anni quando ci ha lasciato nel 2012. Con questo lavoro era entrato a pieno titolo nella lista dei maestri della fotografia neorealista per la sua sensibilità e capacità di documentare, attraverso il fotoracconto, la storia di una delle zone allora più disagiate della Sicilia.

Borgo di Dio di Enzo Sellerio è ancora oggi un’opera molto apprezzata. Sellerio è stato spinto verso la fotografia dall’amico e pittore Bruno Caruso e ha riempito con le sue fotografie molte riviste importanti in Italia, Europa e America per oltre 20 anni.

Poi, incoraggiato dall’amico Leonardo Sciascia si è interessato anche all’editoria, fino a fondare insieme alla moglie Elvira Giorgianni e da un’idea dello scrittore siciliano e l’antropologo Antonino Buttitta, quell’elegante impresa culturale che prende il nome di Sellerio Editore“, casa editrice che annovera pubblicazioni dei più grandi scrittori contemporanei.

Enzo Sellerio editore, ma soprattutto fotografo. Difficilmente si resta impassibili osservando le sue foto, foto capaci di coinvolgere e stupire ed emozionare ogni osservatore. Nato a Palermo, Enzo Sellerio, attraverso il suo universo fotografico, ha raccontato la Sicilia più autentica.

Enzo Sellerio diceva sempre che un bravo fotografo è uno scrittore che si esprime per immagini. Il suo primo fotoreportage risale al 1955, tempo di Neorealismo. Dal titolo, Borgo di Dio di Enzo Sellerio è considerato oggi uno dei capolavori della fotografia neorealista in Italia.

Questo reportage lo porta agli apici della fotografia, alle prime mostre personali e le prime collaborazioni a testate giornalistiche prima a livello nazionale, poi a livello internazionale. Attraverso questa serie di fotografica, Borgo di Dio di Enzo Sellerio documenta le problematiche di un intero territorio.

Siamo in provincia di Palermo, una delle zone più depresse della Sicilia. I paesi in questione sono Trappeto  e Partinico e lo scopo è quello di combattere, attraverso la non-violenza e con la partecipazione di tutti, piaghe come la mafia, l’analfabetismo, la disoccupazione, il lavoro precario e il fenomeno del banditismo.

Borgo di Dio di Enzo Sellerio racconta una Sicilia che deve far fronte a continue difficoltà che mettono ogni giorno a dura prova i suoi abitanti. Alla fine degli anni settanta il Sellerio fotografo, cede il passo al Sellerio editore, con un trentennio di silenzio fotografico, anche se poi la sua presenza nell’ambiente siciliano continuerà ad essere determinate promuovendo giovani talenti attraverso la sua casa editrice.

Muore nel 2012 all’età di 87 anni lasciandoci con “Borgo di Dio”, le fotografie della gente più che dei siciliani, fotografie di piedi scalzi, di mura scrostate, di carbonai neri del fumo, di bambini adulti e volti scavati, di fedeli che sembrano non conoscere il dubbio, processioni, mercati (Vucciria e Ballarò), fotografie appassionate senza forzature né ipocrisie, fotografie aspre che osservandole ci inteneriscono e ci fanno venire tanta malinconia.

La storia del fotoracconto non si ferma al racconto e si apre anche alla poesia. Da non dimenticare è,infatti, il progetto di Eugenio Montale e Ugo Mulas del 1962 per “Ossi di seppia”, raccolta poetica dello scrittore e poeta genovese.

L’idea era quella di accostare delle fotografie liriche e particolari in linea con le poesie e che fossero capaci di coglierne il clima selvaggio, reso tale dalle descrizioni dei paesaggi evocati da Montale. Sarebbe stato troppo facile, infatti, come dichiara il fotografo Ugo Mulas nel testo di Quintavalle «cadere nella banalità, perché alcuni versi sono già così visualizzati che tentare direnderli figurativamente con una foto non aggiungerebbe nulla al senso dei versi stessi, sarebbe solo una ripetizione».

Ed è così che versi di Montale come «avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale/ siccome i ciottoli che tu i,/ mangiati dalla salsedine;/ scheggia fuori del tempo, testimone/ di una volontà fredda che non passa» rivivono nelle foto dei sassi in primo piano circondati dalle onde di un mare indomabile, catturati dagli scatti di Ugo Mulas.

Risale, invece, ai nostri giorni l’esperimento di fotoracconto che vede la compresenza di fotografia e scrittura. Prende il nome di “Mouche a lire” ed il suo autore è Gianni Pezzani, iniziato nel 2010 e ancora in corso. L’idea, nata casualmente, di fotografare le mosche che si posavano su particolari parole e frasi dei libri, considerate significative, ha riscosso un discreto successo.

“Ho iniziato tutto ammazzando qualche mosca per caso, chiudendo libri a Torrechiara, in estate, dove avevo affittato una casa in mezzo alle vigne. Ho notato che le mosche si posavano su certe parole, e ho pensato che avrei potuto riprendere le mosche che leggono. La prima foto la ho scattata a una mosca posata sulla Camera chiara di Roland Barthes e sulla frase ‘La foto diventa sorpresa… che non si sa perché sia stata fatta’ […]”.

Oltre alla Camera chiara di Roland Barth, tra i testi utilizzati per realizzare il fotoracconto rientrano libri come Sulla strada di Jack Kerouac o I Mangia a poco di Thomas Bernhard ecc. nelle pagine che Pezzani considera particolarmente significative.

Il mio progetto sul blog Fotoscrittura si è concluso verso la fine del 2016. Da due anni ormai avevo creato anche il blog in cui vi trovate, Ti racconto un viaggio, per raccogliere i miei racconti le mie esperienze di viaggio nel mondo, che intanto era diventato la mia occupazione principale e mi richiedeva sempre più tempo e più lavoro.

Per questo motivo, decisi che era tempo di fare delle scelte e, a malincuore, di mettere fine al progetto di Fotoscrittura. Tutto il lavoro e i contenuti realizzati non potevano andare persi o dimenticati e ho pensato di raccogliere qui alcuni spunti significativi per continuare a renderli fruibili a tutti voi.

Sono sicura che li troverete interessanti e che vi aiuteranno a conoscere più da vicino questo nuovo modo di esprimere se stessi e le proprie emozioni e conosceremo quelli che sono stati i fautori di questa disciplina e che hanno, per primi, tentato di applicarla concretamente.

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