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Viaggio e scrittura: le due grandi passioni di Paolo Rumiz

La dimensione del sogno è fondamentale a partire: se tu non hai sognato un viaggio, non lo tieni in una lunga incubazione, non ti verrà mai il momento di partire. Paolo Rumiz

Paolo Rumiz è un giornalista e scrittore italiano, nato a Trieste. Dopo aver lavorato per il Piccolo di Trieste e La Repubblica, nel 1986 inizia a seguire, in qualità di inviato, gli eventi dell’area balcanica e danubiana e, successivamente, i conflitti in Croazia e in Bosnia ed Erzegovina. Nel 2001 documenta l’attacco statunitense all’Afghanistan prima da Islamabad e poi da Kabul. All’attività di inviato, Paolo Rumiz alterna quella di scrittore di viaggio e di reportage. 

Attraverso i suoi racconti parla dei suoi viaggi in Italia e in Europa, compiuti per lavoro ma soprattutto per diletto. Durante i suoi spostamenti, Rumiz utilizza i mezzi di trasporto più diversi: dalla bicicletta, al treno, al bus e ai traghetti fino all’autostop, la barca a vela, la Fiat 500 e ovviamente a piedi. In una delle puntate del programma Nautilus in onda sul canale tematico Rai Scuola, Paolo Rumiz è invitato a parlare dei suoi viaggi e, in particolare, della scrittura di viaggio.

In una delle puntate del programma Nautilus in onda sul canale tematico Rai Scuola, Paolo Rumiz è invitato a parlare dei suoi viaggi e, in particolare, della scrittura di viaggio. Nel raccontare la sua esperienza afferma: «Temo di avere una deformazione professionale, cioè di non essere più capace di partire se non ho il compito di scrivere qualcosa e devo dire che anche degli amici miei mi esortano a fare qualcosa del genere». Ma non sono tutti uguali gli amici di Paolo e c’è chi la pensa diversamente.

«Uno mi ha detto “Guarda Paolo non vedo l’ora che tu prenda una barca, attraversi le colonne d’Ercole e quando ti trovi oltre, nell’immensità dell’Oceano, sei di fronte a qualcosa di talmente smisurato che non hai più voglia di scriverlo e te lo tieni solo per te e forse verrà fuori quando sarai vecchio in storia ai nipotini”. Ecco, questa è anche una grande dimensione della scrittura o meglio del racconto, che diventa esclusivamente oralità, pura oralità e memoria e fa a meno di questa cosa notarile che è la scrittura».

Ma in che modo si prepara uno scrittore prima di un viaggio? Paolo Rumiz ci spiega il suo: «Mi preparo molto prima di un viaggio, ma mi piacerebbe fare un viaggio in una direzione che non so. Partire da casa mia, avere la bussola in una direzione e attraversare dei territori, prendendo nota senza pregiudizi, senza preconcetti, di quello che vedo. Però, certo, c’è una preparazione maniacale alla quale, peraltro, bisogna saper rinunciare, cioè tu ti prepari un viaggio ideale, fantastichi a lungo però devi essere pronto a prendere altre strade da quelle che tu hai pensato che fossero le migliori. Devi accettare ciò che il viaggio ti dà, è il viaggio che ti dice dove andare non sei tu che lo forzi e lo spingi in un’altra direzione».

E poi ogni viaggiatore ha il suo kit da viaggio e per scegliere quello più adatto a te «Bisogna immaginare che tipo di viaggio farai. Un minimo di idea sull’andatura ce l’hai perché se affronti le steppe della Russia sconfinata la tua andatura sarà piuttosto veloce, le tue immagini saranno abbastanza diluite. Se vai sulle isole greche è tutto molto più concentrato. Dipende anche dalla quantità di persone che vuoi incontrare. Insomma, devi un po’ decidere anche tu perché sei anche tu che fai il viaggio, però, c’è un fatto: ogni viaggio ha il suo taccuino e non esiste il taccuino ideale, prima di tutto, perché tu non è che puoi girare con una cosa piccola se vai ad ascoltare una conferenza di un grande filosofo così come è vero che non puoi viaggiare e fare un viaggio a a piedi o in treno portandoti dietro un tazebau».

Ma allora qual è lo strumento ideale per prendere appunti, Paolo? «Tu devi trovare la misura giusta che, però, varia a seconda delle andature. Se tu fai un viaggio veloce hai bisogno di un taccuino piccolo. Se fai un viaggio lento in cui ci sono degli incontri approfonditi hai bisogno di un taccuino grande. Addirittura in certi casi se c’è un’accelerazione del viaggio ritorni al taccuino piccolo altrimenti vai al taccuino grande. Per cui io sono arrivato ad una legge che si potrebbe aggiungere come undicesimo comandamento (del decalogo della Scuola del Viaggio) ed è che la dimensione del taccuino è inversamente proporzionale alla velocità del viaggio».

Infine, quando tornate da un viaggio vi capita di chiedervi chi siete? A Paolo Rumiz sì: «Certo, bisogna un po’ ricapitolare cos’è rimasto delle nostre certezze. Il bello del viaggio è proprio che tu torni molto più povero di quanto sei partito nel senso che hai dovuto lasciare tante cose dietro di te, cose inutili. Torni più leggero di quanto eri partito, il tuo sacco è più leggero, credi in meno cose, hai molte meno certezze però quelle poche sono molto più valide. il ritorno, poi, è un momento importante e molto doloroso perché si è svegliato il nomade che è in te».

E cosa succede al ritorno dal viaggio? «Il momento in cui la storia finisce tu hai un vuoto non da poco per cui io sarei piuttosto per dire che “arrivare è un po’ morire“. Il ritorno è un momento in cui avresti bisogno di un grande silenzio, cioè di una grande ricapitolazione di quello che hai visto, il momento in cui devi ruminare ciò che hai mangiato, però, non sempre questo ti è concesso perché la modernità oggi fa coincidere il ritorno con una valanga di cose che devi fare e che si sono accumulate nel tempo in cui non c’eri. La modernità ha un po’ avvelenato il senso del ritorno che, in fondo, è la cosa più dolce che ci sia».

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