Trekking in elefante in Thailandia: perché non lo rifarei

Avete mai visto un elefante dal vivo? Beh probabilmente allo zoo. Io però non amo gli zoo e quando ho saputo che avrei potuto fare trekking in elefante in Thailandia durante il mio viaggio di nozze ne sono rimasta davvero entusiasta. La Thailandia è stata il primo paese dell’Asia che ho visitato nonché il mio primo viaggio intercontinentale e credo che, un po’ per l’emozione un po’ per il poco tempo a disposizione in quel momento, non mi sono fatte tante domande prima di fare questo trekking in elefante.

Dopo, però, al mio rientro in Italia sì e le risposte che ho trovato non sono state molto confortanti. Il trekking in elefante nella bellissima Maetaman Valley, al Maetaeng Elephant Park di Chiang Mai (di cui ho parlato qui) mi era sembrato un’esperienza davvero unica. Avevo conosciuto una simpaticissima elefantessa di nome Nathalie e il suo mahout, ovvero il conducente, che si era mostrato molto affezionato a lei e non potevo credere a quello che avevo letto sulla rete sulla “brutalità” del trekking in elefante e sulla cattiva fama dei mahout.

Ero convinta che il mahout (termine indiano che deriva dal sanscrito) fosse per un elefante oltre che un addestratore, un amico fidato, un suo compagno che se ne prendeva cura per tutta la vita, che proprio per questo ogni elefante aveva sempre lo stesso mahout e che tra i due si crea, infatti, un legame di fiducia e profondissimo molto importante per l’animale che vive in cattività e deve essere rieducato e reinserito nel suo ambiente. Questo era quello che sapevo e invece mi sono ritrovata a leggere tutt’altro.

Di parchi che spillano solo soldi ai turistiche e che in realtà non hanno alcun rispetto, amore per gli elefanti e per l’ambiente, che maltrattano i poveri elefanti e li tengono in catene e che sfruttano loro e le attività realizzare all’interno, dagli spettacoli, al trekking alla creazione di cliniche con del personale veterinario solo come copertura per arricchirsi a discapito di queste amabili e bellissime creature. Non potevo crederci ma più leggevo, più mi documentavo e più veniva fuori chiaramente quest’altra faccia della realtà.

In realtà, l’attività di tutti questi parchi non nasce casualmente ma a seguito del numero crescente di elefanti costretti a vagare per le strade della città o costretti a lavorare nel commercio illegale di legname che ha spinto alcune persone di buon cuore a cercare di proteggerli, sostenendo la cultura dei mahout e delle loro famiglie e di creare un ambiente sicuro e amichevole per gli elefanti, facendo in modo di sostenere il parco attraverso i visitatori, che possono conoscere gli elefanti da vicino, informandosi sulla situazione degli elefanti asiatici. Insomma, letta così, una missione senz’altro nobilissima.

Questi meravigliosi pachidermi, infatti, vivono in una condizione molto delicata in Asia. L’elefante asiatico, più piccolo rispetto al cugino africano, è a rischio estinzione e la loro difficile sopravvivenza è legata alla trasformazione delle foreste, loro habitat naturali, in campi per uso agricolo. Ma questa non è l’unica causa. La mattanza degli elefanti per il commercio di avorio e lo sfruttamento degli elefanti nel mercato del legname (il logging) sono ugualmente determinanti nel calo demografico di questi animali negli ultimi anni.

Il turismo si inserisce in questo scenario come uno strumento prezioso per migliorare la loro vita capace di finanziare le loro attività di recupero con il turismo che permettono loro di salvare sempre più elefanti e prendersene cura.. Grazie alla nascita, di parchi, di cliniche e di “conservation camps” gli animali schiavizzati e maltrattati riescono finalmente a trovare un po di pace e di serenità. Come è facile immaginare, non tutti sono mossi da spirito altruistico.

Piuttosto sfruttano gli elefanti per puro interesse economico e non investono i soldi guadagnati per salvare altri animali. Io durante il trekking in elefante in Thailandia non ho riscontrato maltrattamenti o abusi, anzi ho trovato un ambiente protetto e adeguato e molta cura da parte dei mahout verso gli elefanti. Tuttavia, ho capito che se si vuole entrare davvero in contatto con loro non è il trekking a dorso dell’elefante il modo ideale per farlo e questo per una serie di ragioni che sintetizzo brevemente:

–  le sedie in legno o in metallo che poggiano sul dorso dell’animale, le “howdahs”, gli causano ferite dolorose e sono assolutamente da evitare. La conformazione della schiena dell’elefante, infatti, diversamente da quanto si possa pensare, è molto fragile e ben diversa da quella dei cavalli per cui anche salire a cavalcioni dell’animale gli crea problemi di salute.

– Spesso questi meravigliosi animali sono sottoposti ad orari di lavoro massacranti che li vedono costretti a trasportare turisti per 8-9 ore al giorno non-stop mettendo a rischio non solo la loro salute fisica ma soprattutto il loro benessere mentale, visti gli alti livelli di stress che questo tipo di lavoro procura.

– Dopo la cattura, gli addestratori sottopongono gli elefanti al phajaan, un rituale di maltrattamento vero e proprio attraverso il quale, come narra un’antica leggenda, si “uccide” l’anima dell’animale per renderlo sottomesso, addomesticato e docile agli occhi dei turisti.

Potendo tornare indietro, non rifarei il trekking in elefante in Thailandia. E tu che ne pensi?

2 commenti su “Trekking in elefante in Thailandia: perché non lo rifarei”

  1. Ciao Marianna,
    vorrei lasciare dei link di altri parchi di elefanti, che piú che parchi, sono dei veri e propri santuari:
    Elephant Nature Park – www.elephantnaturepark.org
    Elephante Retirement Park – www.elephantretirementpark.com

    Bisogna davvero prestare molta attenzione al parco che si sceglie, perché spesso ci sono dei parchi che si pubblicizzano come amorevoli verso gli elefanti, ma nascondono maltrattamenti e violenza fisica sull’animale.
    Io sconsiglierei di andare in quei parchi dove si sale sul dorso dell’elefante, per fare trekking nel fiume.

    Gli elefanti sono animali selvatici e nel momento in cui si sottomettono all’uomo, vuol dire che l’uomo ha recato danno all’animale; per questo ha paura e si sottomette. Se vedete un picchetto nelle mani del loro addestratore, scappate a gambe levate. Lí si nasconde violenza.

    Io sono stata nell’Elephant Nature Park e gli elefanti erano liberi, senza catene, funi, nessuno ci saliva sopra. C’erano elefanti zoppi, cechi (proprio perché i proprietari precedenti usavano i picchetti per ferire gli occhi), con ferite aperte. Cosa c’è di piú bello che conoscere l’animale in libertá. Potevamo toccarli, dargli da mangiare, fargli il bagno… É stata una giornata indimenticabile 😀

    1. Marianna Norillo

      Ciao Nadia,
      grazie per essere passata e per aver condiviso queste utili informazioni. Purtroppo, sono sincera, in quel momento non ero a conoscenza della situazione e ho pensato forse ingenuamente che sarebbe stata una bella esperienza a contatto con gli elefanti nel loro habitat. Se potessi tornare indietro, opterei sicuramente per uno dei luoghi che suggerisci. Un caro saluto

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